Nel 1950 escono in volume le Cronache marziane di Ray Bradbury, una serie di storie collegate tra loro che hanno come sfondo il tentativo di colonizzare il pianeta Marte. L’intuizione di Bradbury è stata nell’aver proiettato su Marte stati emotivi per nulla dissimili da quelli terrestri, ma trasfigurati ala luce del pianeta rosso.
Tentativo e desiderio di coniugare l’affascinante contraddizione tra il terrestre e l’alieno, due forme di intelligenza solo apparentemente inconciliabili in cui la diversità delle due nature si mostra come somiglianza in cerca di un’ipotesi di conciliazione.
Giacobbe Giusti è artista e attento regista di strani scenari in cui si intrecciano liberamente diversi livelli di realtà, corpi tra materia e aria, tra luce e ombra, tra veglia e sonno convogliando in uno spazio dilatato e contorto. Lavorando sull’alleanza terra-spazio, ci presenta scene esteriormente anomale ma capaci di trovare rimandi e rispondenze con forme a noi note; la sua è di certo un’ipotesi avveniristica, fatta di panorami in continua evoluzione, ma totalmente inserita in un contesto realistico. Sono forme estranee che abitano il nostro circostante e da questo si lasciano invadere, sembrano essere strani segnali provenienti da mondo altri, ma l’artista ribalta, applica un necessario rovesciamento: queste strane manifestazioni non provengono dallo spazio cosmico, non sono asteroidi restituiti da collisioni, non sono meteore o polveri meteoriche, tanto meno residui che hanno raggiunto il suolo terrestre, ma, strano a dirsi, sono proprio forme appartenenti alla terra stessa. Fiori, simboli, oggetti indistinti, sole, luna, luce come fiammelle primordiali, materia e materiali in continuo movimento. Questi “oggetti” testimoniano cosa rimane e cosa cera una terra sottoposta a innumerevoli manipolazioni, per farci chiedere quale potrà mai essere il risultato dei tanti interdipendenti problemi che minacciano il genere umano: segnali di cambiamenti, adattamenti, profonde mutazioni, forse per sempre forse irreversibili. Giusti non è un allarmista e la risposta a come sarà The Day after tomorrow non ha toni di tipo catastrofico-apocalittico, tanto meno pretende di fornire spiegazioni pseudoscientifiche, ma ci induce di certo a più di una riflessione sull’interrelazione tra l’uomo e l’ambiente di vita e sulla sua funzione nell’equilibrio dell’universo. Domande che sgorgano dal fondo senza pervenire a spiegazioni, un’attesa del futuro, un mondo che obbedisce a leggi fisse ed immutabili, individui reali in mondi virtuali, come Jimi in Nirvana si poneva lo spiazzante dilemma sulla sintesi del corpo con l’informatico: “che cosa ci faccio io qui? Perché sono qui e non sono altrove?”
Che cosa rimane e cosa ha prodotto l’uomo? Assoluto protagonista di modificazioni, dissipatore di anidride carbonica, primo agente del degrado globale dell’ambiente terrestre; inteso, secondo la definizione di Vidal de la Brache, come colui che più di ogni altra cosa ha potentemente agito sulla modificazione della superficie terrestre, come colui che da passivo esecutore delle leggi di natura “è riuscito ad imprimere il suo suggello”. Stando a questi interrogativi e date certe premesse gli “oggetti” di Giusti si caricano di maggiore responsabilità, dimostrare che qualcosa di fondamentale si è irreversibilmente modificato: fiori sì, ma d’alluminio, fiori sì riconoscibili come tali, ma fiori come residui, come scarti industriali. Fiori a cinque petali, radicalmente simmetrici, quasi a richiamare la famiglia della rosacee ma fatti di superfici bianco argentee. Capaci, e costretti, ad adattarsi ai cambiamenti dell’ambiente, capaci perfino di mutare la loro originaria natura, pur di esserci ancora. Sono artificiali, a volte enormi ed invasivi, come se fossero stati investiti da radiazione atomiche, a volte recisi, come angosciante simbolo della mancanza di un ciclo vitale, di uno scopo riproduttivo. Tutte le forme create dall’artista sono la risultante del quadro in cui si svolge la loro esistenza e si sfaldano per ri-legarsi in nuove forme e così ritmi, immagini e impulsi luminosi mobilitano l’energia interna degli ambienti.
Giusti manipola sottilissime lamine di alluminio, crea e racconta, nascono ammassi metallici simili a corpi rocciosi, massi asimmetrici come Phobos e Deimos irregolari e lucenti. Organizza e coordina illusione e visionarietà, forme e spazi, suoni e colori, ci conduce in atmosfere stranianti e suggestive spingendo l’espressione artistica verso nuove dimensioni, combinando abilmente diversi modus operandi; unisce potenti cromie a rumori e suoni roboanti realizzando scenari da Alfa e Omega. Tutto è ipertrofico, diverso, lunare, ci immergiamo in questi mondi come Maitland ne L’isola di cemento, con la sua flora accresciuta, dove tutto volge rapido, dove tutto è trasformato. Le sue composizioni si alternano tra sottili equilibri e tensioni interne, combina il fluttuare e il cadere delle forme a suoni analogici e a suoni reali manipolati, mostra il loro penetrarsi immateriale, le loro metamorfosi, il tutto a formare una perfetta danza astratta.
Viviana Tessitore